“L’attacco al latte italiano, fatti e misfatti”: questo il dossier di Coldiretti, nel quale si evidenzia che la vita o la morte di molte stalle sopravvissute fino ad ora in Italia dipende da almeno 5 centesimi per litro di latte che si ricavano dalla differenza tra i costi medi di produzione pari a 38-41 centesimi e i compensi riconosciuti scesi a 34 centesimi al litro. Il documento è stato presentato da Coldiretti in occasione della guerra del latte con l’assedio di migliaia di allevatori con trattori e mucche al seguito alla multinazionale francese Lactalis che ha comprato i grandi marchi nazionali Parmalat, Galbani, Invernizzi e Locatelli ed è il primo gruppo del settore in Italia. Oltre duecentocinquanta gli imprenditori agricoli di Coldiretti Cremona, partiti nella notte per cingere d’assedio il centro di distribuzione dei prodotti della Lactalis, a Ospedaletto Lodigiano (Lodi).
Gli allevatori chiedono un adeguamento dei compensi in esecuzione della legge 91 del luglio 2015 che - sottolinea la Coldiretti - impone che il prezzo del latte alla stalla riconosciuto agli allevatori debba commisurarsi ai costi medi di produzione che variano da 38 a 41 centesimi al litro. In altre parole - spiega la Coldiretti - gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar e quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette.
Lo studio sui costi di produzione del latte bovino elaborato in esecuzione della legge 91 del luglio 2015 - continua la Coldiretti - evidenzia che nel giugno 2015 in Lombardia i costi medi di produzione del latte oscillano da un minimo di 38 centesimi al litro per aziende grandissime di oltre 200 capi di pianura, a prevalente manodopera salariata, con destinazione a formaggi DOP, fino ad un massimo di 60 centesimi al litro per aziende piccole di 20-50 capi di montagna/collina, a prevalente manodopera familiare, con destinazione del latte a formaggi DOP.
“Siamo dunque di fronte ad una palese violazione delle norme poiché si tratta di un valore inferiore in media di almeno 5 centesimi rispetto ai costi di produzione e che, non coprendo neanche le spese variabili per l’alimentazione, il lavoro e l’energia, spinge all’abbandono delle campagne italiane con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti che giungono sulle tavole”, ha affermato il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “occorre intervenire per ripristinare le regole di trasparenza sul mercato di fronte a un vero e proprio attentato alla sovranità nazionale che non sarebbe certo tollerato in altri Paesi dell’Unione Europea come la Francia”.
STRADE BLOCCATE
Il continuo afflusso di allevatori della Coldiretti da tutte le regioni ha reso impossibile l’accesso alle strade limitrofe allo stabilimento della multinazionale francese Lactalis dove decine di camion sono fermi. Dalla Toscana alla Puglia, dalla Lombardia al Veneto, dal Piemonte all’Emilia Romagna fino al Lazio sono ormai migliaia gli allevatori impegnati nella guerra del latte per difendere il lavoro, gli animali, le stalle, i prati ed i pascoli custoditi da generazioni. Nel presidio ad Ospedaletto Lodigiano (Lodi) davanti allo stabilimento della multinazionale del latte francese Lactalis, che ha conquistato in Italia i grandi marchi nazionali Parmalat, Galbani, Invernizzi e Locatelli, si contano centinaia di trattori parcheggiati mentre sul prato pascolano alcune mucche. E’ stato allestito un palco su un rimorchio dove sono intervenuti il presidente nazionale Moncalvo ed molti dirigenti nazionali e locali della Coldiretti ma anche il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina che ha garantito il sostegno del Governo alla lotta degli allevatori. Alcuni cittadini hanno solidarizzato con i manifestanti offrendo cibi e vino ma gli stessi allevatori si sono organizzati con la preparazione di una maxirisottata . Le storie di difficoltà dei diversi allevatori si susseguono dal palco ma è comune la volontà di non mollare. “Avete preso i nostri marchi non vi daremo le nostre mucche” gridano in molti. Massiccia la presenza delle forze dell’ordine che stanno garantendo lo svolgimento regolare della protesta.
LE TESTIMONIANZE
“I prezzi sempre più bassi ci stanno strozzando: avanti così e chiuderemo tutti”. Sono voci arrabbiate quelle che arrivano dalla prima linea della guerra del latte a Ospedaletto Lodigiano (Lo), davanti alla logistica in via Guglielmo Marconi cuore pulsante della multinazionale francese Lactalis, dove la Coldiretti ha riunito migliaia di allevatori provenienti da diverse regioni per denunciare la drammatica situazione in cui versano le stalle italiane. “Con un prezzo sceso ormai ai 34 centesimi al litro non si può andare avanti: non copriamo nemmeno i costi di produzione – spiegano Emma e Daniela Ghidoni, due giovani allevatrici di Izano (Cremona) – Con orgoglio abbiamo ricevuto il testimone dal papà e dallo zio e con la stessa passione ci dedichiamo al nostro allevamento, ma oggi la situazione è diventata insostenibile”.
In presidio c’è anche Fausto Moro, allevatore 49enne di San Genesio (Pavia) dove manda avanti un’azienda agricola che esiste da quattro generazioni. “Siamo orgogliosi di produrre un latte sicuro, di alta qualità e al cento per cento italiano – sottolinea l’allevatore, che gestisce l’azienda insieme al nipote Simone Cesarini – Conferiamo il nostro latte a un caseificio artigianale che produce gorgonzola Dop, e abbiamo anche un distributore di latte fresco. I controlli servono per garantire che il latte italiano sia il più sicuro, il problema sono i costi inutili come quello della burocrazia”. “Per mantenere gli animali in salute e realizzare un prodotto di qualità servono sempre nuovi investimenti – aggiunge Stefano Stancari, produttore di Tripoli di San Giorgio (Mantova) – ma con il prezzo che pagano oggi le multinazionali è impossibile”.
In molti, di fronte a questa situazione, stanno pensando di chiudere: come Michele Martinelli, allevatore di Samolaco (Sondrio), o Giuseppe Pellegrini di Appiano Gentile (Como) che ha già ridotto il numero dei capi allevati: “Da 33 mucche in lattazione siamo passati a 10, ma se le cose non cambieranno pensiamo di mollare. Un peccato e un grande dispiacere, soprattutto perché c’è mio figlio che vorrebbe continuare”. Situazione analoga per Claudio Chiarini a Montichiari (Brescia): “La capienza della stalla costruita nel 2003 è per 300 bovini – spiega l’agricoltore – ma per colpa della crisi oggi ne mungiamo soltanto 200. Siamo in tre e lavoriamo almeno 13 ore al giorno, ma a fatica riusciamo a sopportare i costi di produzione:”.
“Dispiace buttare al vento tutto quanto la mia famiglia ha costruito – rincara Gianluigi Binda, di Bosisio Parini (Lecco) - ma non si può lavorare 365 giorni l’anno per nulla”. “Le aziende agricole che producono latte di qualità andrebbero premiate e non penalizzate, specie dalle industrie che raccolgono quel latte per destinarlo alla trasformazione” – aggiunge Paolo Zanotti, che a Casciago (Varese) ha un centinaio di capi. “Chiediamo solo che il nostro lavoro venga riconosciuto con un prezzo giusto – spiega Cinzia Marescotti, giovane allevatrice di San Zenone al Lambro (Milano) che fino a due anni fa lavorava nell’ambito dell’architettura - Mi sento frustrata perché a queste condizioni non riusciamo a programmare il nostro futuro”. “Quello che finora mi ha fatto andare avanti è la passione – ribatte Alice Madonini di Secugnago (Lodi) – Ma da sola non basta più”.
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