Il principio che nel Jobs Act ispira il provvedimento dell'Assegno di Ricollocazione (AdR) è forse il più innovativo e quello con maggior potenziale per determinare la trasformazione del mercato del lavoro in senso più flessibile e “friendly”. Soprattutto il collegamento tra il percepire un'indennità di disoccupazione e l'obbligo di attivarsi per ricollocarsi attraverso una rete di operatori specializzati (quindi non semplicemente attraverso dichiarazioni formali o iscrizioni in liste gestite burocraticamente) costituisce una vera e propria rivoluzione culturale rispetto alla tradizionale politica di assistenza e, possibilmente, accompagnamento alla pensione che per decenni ha costituito la linea guida delle politiche del lavoro statali. Il fatto che entri in vigore per ora a titolo sperimentale in fondo è accettabile in linea di principio, stante la necessità di metterne a punto i meccanismi sulla base di un'esperienza concreta e stante l'insufficienza di risorse (ma occorre abituarsi all'idea che nel momento in AdR andrà a regime dovrà avere la priorità sui finanziamenti destinati al lavoro). Tuttavia non si puònon rilevare come nella normativa varia emessa da ANPAL che regola la sperimentazione si nascondano, più o meno tra le pieghe, vincoli e disposizioni che rischiano, nel concreto, di modificare la natura di AdR e scoraggiarne l'utilizzo.
Vediamoli un po': su 25.000 lettere inviate ai soggetti destinati ad essere percettori di AdR, una infima minoranza ha dato riscontro (AFOL Milano, cioè il Centro per l'Impiego, ha “staccato” appena 15 Assegni!). In questo c'entra la normativa ANPAL, ovviamente comunicata ai destinatari con la lettera, la quale chiarisce che non c'è né obbligo né fretta di attivare le procedure di AdR. Il che legittima la conclamata propensione dei percettori di integrazione al reddito a sfruttarlo fino in fondo prima di attivarsi sul serio sul mercato del lavoro. Ciò da un lato distrugge le possibilità di ricollocazione dei soggetti interessati: è ben noto che già dopo tre mesi di disoccupazione la probabilità di reimpiego diminuisce rapidamente; in questi casi siamo a 4 mesi (minimo di NASPI per accedere all'Assegno) più /N /mesi (fino a 20) fino a che il percettore di NASPI decida di attivarsi. Il fiasco è quasi assicurato..! Dall'altro, di conseguenza, marcherà un risultato decisamente negativo sull'esito della sperimentazione.
Un altro “bug”: nell'Avviso di Sperimentazione emesso da ANPAL è previsto un vincolo per il riconoscimento dell'erogazione di servizi ai titolari dell'AdR anche nel caso in cui non vi sia un esito positivo (ossia, la persona non sia stata ricollocata). Come è giusto per evitare abusi, quest'erogazione è vincolata ad alcune condizioni. E qui comincia il problema: la condizione per riconoscere all'operatore (pubblico o privato) il pagamento “a processo” dei servizi comunque erogati, è subordinato al fatto che l'operatore in questione abbia ricollocato nei sei mesi precedenti una certa percentuale di titolari di AdR, variabile per territorio. Per Milano, ad esempio, l'operatore deve avere ricollocato almeno il 33% dei titolari di AdR che si è preso in carico nei sei mesi precedenti per aver diritto ai 106€ che spettano per i servizi erogati ai non ricollocati.
Ora, mi domando, perché mai l'operatore (pubblico o privato) di Milano dovrebbe infilarsi in un percorso così incerto e complicato quando per la stessa persona da ricollocare potrebbe usare Dote Unica Regionale (DUL), che ha il vantaggio di essere un sistema collaudato e ben noto agli operatori, con una premialità migliore e meno difficile da ottenere? E' bene ricordare che anche con Garanzia Giovani affiorò un problema analogo, con casi di candidati che venivano tenuti a bagno maria per il tempo necessario ed essere poi dirottati su DUL.
Per cui abbiamo almenodue spinte “convergenti”: gli operatori poco motivati ad accettare portatori di AdR, i destinatari di AdR non disincentivati a prolungare fino a quanto possibile la posizione di assistiti.
Mi rendo conto che una soluzione universale non potrebbe che prevedere elementi coercitivi tipo l'obbligo degli operatori di farsi carico di un certo numero di AdR, e/o la perdita del NASPI per i destinatari di AdR che non si attivano. Ma mi rendo conto anche delle difficoltà politiche che comporterebbe.
Tuttavia: paradossalmente, in virtù di una delle “diversità” italiane delle quali fino a poco tempo fa andavamo fieri, temo si debba prendere atto che mediamente l'interesse del licenziato ad essere ricollocato si manifesta in tempi più lunghi rispetto all'interesse dell'operatore di politiche attive a ricollocarlo.
Su questo si potrebbe costruire una “leva” per incentivare l'utilizzo di AdRda parte dei destinatari: se gli operatori (pubblici e privati) potessero accedere all'elenco dei destinatari delle 25.000 (per ora) lettere inviate da ANPAL, e presentare in modo non burocratico ma incoraggiante ai destinatari il percorso di ricollocazione, magari dando loro, in Lombardia, la possibilità di proporre AdR o DUL a seconda della convenienza forse si riuscirebbe a coinvolgere più persone e più operatori.
Ma, in conclusione: se è prematuro parlare di flop dell'Assegno, è però evidente che se gli esiti della sperimentazione continueranno su questo registro il fallimento sarà incontrovertibile, e non vorrei che si facesse strada, come nel caso dei voucher, la tentazione di rimettere tutto nel cassetto e ritornare al buon vecchio assistenzialismo: non sono pochi quelli cui non parrebbe vero di demolire un altro pezzo, e stavolta un pezzo fondamentale, del Jobs Act. Meglio sarebbe correggere in corsa le regole prima che sia troppo tardi: in fondo di sperimentazione se ne è fatta abbastanza per capire che è necessario metterci mano!
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