Nella mia vita – piuttosto lunga per anni e per ricerca appassionata della “verità” nelle pagine dei libri e nel pensioro meditato per dare un colore alle infinite ore di solitudine, non ho mai dimenticato gli anni inquieti e tormentati dell’Università alla Cattolica, quando, approdato in quegli ambienti austeri e capaci di parlare (anni cinquanta, con cinque corsi di laurea, lettere classiche, letere moderne, legge, lingue, economia), sotto la guida saggia e capace di suscitare attenzione di padre Gemelli, mi avviai per il percorso di Lettere ad indirizzo moderno, non di facile soluzione, ma indimenticabile per i “maestri” incontrati (Mario Apollonio, Giuseppe Lazzati, Ezio Franceschini, Passerin d’Antrèves )... Sullo sfondo, emergevano ancora, in modo impressionante, le rovine della guerra - quelle umane e quelle dei nostri ambienti di vita, quelle degli affetti distrutti e quelle che ci richiamavano al significato della “fine”, io mi portavo nell’animo la paura di una certa inferiorià, perchè la mia storia era storia di povertà, di inquietudine culturale e di difficoltà ad emergere nel modesto clima culturale di un paese nativo lungo gli argini del Po, che il maestro Gianni Tortini aveva ben colto nel romanzo “Dove non viene mai sera” (l’Università, del resto, era scuola per chi aveva un certo benessere economico, e volentiere emergeva questo stato di situazini, tra noi giovani) ma, in Cattolica ho conosciuto il “miracolo”, dapprima la borsa di Studio per chi si impegnava seriamene nella ricerca e poi - cosa più importante e determinante - l’incontro in aula dei Docenti ricordati: preparati, entusiasti del loro mestiere, con proposte culturali che riuscivano a farci dimenticare il dramma della guerra, ad aprire i nostri orizzonti, a riconoscrci “persone” a pieno titolo, destinati - domani - a diventare operatori di verità, per ricollegarmi alla mia piccola storia d’inizio...
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