«L’unica cosa che le chiedo è di non usare la parola genio». Maria Assunta Zanetti ha a che fare col talento da anni. E’ professore associato di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Pavia e direttore del Laboratorio Italiano di Ricerca e Intervento per lo sviluppo del Potenziale, del Talento e della Plusdotazione, conosciuto come LabTalento. In questo tempo, Zanetti ha incontrato centinaia di bambini che «mostrano o hanno il potenziale per mostrare – dice – un’abilità sorprendente in uno o più ambiti». In gergo tecnico si chiamano “plusdotati” o “gifted students”. Nella curva gaussiana, che misura il quoziente intellettivo, si collocano al di sopra di 120, quando un’intelligenza “normale” va dagli 85 ai 115. Le “spie” di una dotazione superiore sono tante. La grande memoria, l’ipersensibilità, l’imparare a leggere da soli e molto prima rispetto ai pari età, l’avvertire le grandi domande di senso che, spesso, nemmeno gli adulti si fanno. Il risultato, quasi sempre, è il sentirsi “fuori luogo” e non accolti. «Questi bambini faticano ad essere riconosciuti nel loro potenziale – precisa Zanetti –. Potenziale che in molti casi è negato o sminuito, perché, in classe, l’insegnante deve occuparsi anche “degli altri”. Ma io dico: anche questi sono “gli altri”».
Non è nemmeno raro che accadano episodi di bullismo; certamente di rendimento scolastico inferiore alle possibilità e di bassa autostima. Per questo è necessario il lavoro di chi sa tradurre quelle “spie” in ciò che realmente sono: una o più doti. E aiutare, così, chi ne è in possesso – e il contesto che frequenta – a viverle come risorse e come potenziali “talenti”. «Guardi, è come nella famosa parabola – osserva Zanetti –. Se un talento lo sotterri, non porterà mai frutto. Occorre un contesto che sappia riconoscere la loro dotazione e valorizzarla. Altrimenti sperimenteranno un vissuto di inadeguatezza, delusione, noia, soprattutto per l’incapacità degli adulti di aiutarli a modulare e a regolare la propria emotività».
I numeri, tra l’altro, dicono che la presenza di gifted students non è per nulla risicata. «Parliamo di una percentuale, a livello internazionale, che si attesta tra il 5 e l’8%. La stessa che anche io ho riscontrato grazie ad un progetto di validazione dello strumento GRS (Gifted Rating Scales), diffuso nelle scuole, che aiuta gli insegnanti a comprendere il fenomeno e delineare adeguati percorsi didattici. La percentuale del 5% è sovrapponibile». A livello ministeriale, tuttavia, manca del tutto un investimento in formazione rivolto agli insegnanti per accompagnare «questo 5%».
Dice Zanetti: «LabTalento offre percorsi ai docenti per l’individuazione della plusdotazione e per la creazione di attività didattiche personalizzate. Peccato che questi percorsi, le scuole debbano pagarseli con risorse proprie. Nei documenti ministeriali c’è un forte richiamo allo sviluppo dei talenti e al loro accompagnamento; esistono metodologie codificate e proposte; nel 2019 una nota di chiarimento, a seguito della direttiva sui Bes, ha inserito i bambini plusdotati tra coloro che rientrano nei bisogni educativi speciali: significa che la scuola deve attrezzarsi con insegnanti formati per proporre metodologie specifiche, come la compattazione, la differenziazione, il salto di classe in alcuni casi, le accelerazioni, i gruppi di livello. Fermo restando tutto questo, le scuole non sempre hanno risorse sufficienti per investire in formazione e il ministero è fermo. Senza formazione si va a buon senso, ma non sempre basta per arrivare a risultati positivi».
Nonostante l’indifferenza dello Stato – almeno nell’investimento di risorse – ci sono sempre più istituti che colgono a pieno la sfida di Zanetti. Dal 2012 il suo Laboratorio e l’Ufficio Scolastico Territoriale di Pavia hanno in essere un accordo di rete, intitolato “La scuola educa il talento”, a cui molte scuole, di tutto il territorio nazionale, hanno via via aderito. Ad oggi se ne contano 104. «A loro – dice la docente – garantiamo formazione, aggiornamento e affiancamento all’attività dei docenti per innalzare il loro livello di conoscenza e costruire percorsi educativi dedicati agli studenti ad alto potenziale». È nato così il modello “Stima”, acronimo che indica gli argomenti spesso di interesse per questi studenti: Scienza, Tecnologia, Informatica, Matematica, Arte. Vedendosi riconosciuti nelle loro peculiarità, i gifted students vivranno un’affezione maggiore verso l’ambiente scolastico e un benessere generalizzato. Cresceranno, quindi, sicurezza, talento, intelligenza emotiva, motivazione e autostima, che, guarda caso, corrispondono sempre all’acronimo “stima”.
I primi a dover gestire l’alto potenziale sono coloro che lo detengono. Anche in questo caso il Laboratorio di Pavia fornisce supporto, innanzitutto «attraverso una valutazione dei bambini – spiega Zanetti – sia dal punto di vista intellettivo, sia dal punto di vista emotivo. E spesso accade che si verifichi una a-sincronia: in presenza di un quoziente intellettivo di 130, se ne registra uno emotivo di 80. Tradotto: il bambino si vive sbagliato e preferisce isolarsi. Cosa facciamo? Da ottobre a maggio, una volta al mese, proponiamo laboratori di approfondimento in ambito scientifico e artistico, lavorando anche sulla dimensione relazionale e sulla dimensione creativa. Contestualmente, lavoriamo con i genitori perché non abbiano troppe aspettative, non siano troppo performanti o troppo conflittuali con la scuola».
Il lavoro in Laboratorio, unito ad un contesto scolastico capace di accogliere e valorizzare il proprio alto potenziale, cambia, nel tempo, la qualità della vita di questi bambini, «che iniziano a percepirsi – dice Zanetti – una risorsa, non più un problema. E anche a scuola, il loro modo di rapportarsi, se ben gestito dall’insegnante, innalza la motivazione di tutti, aumenta il rendimento scolastico generale».
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